L’uccisione di Pecorelli

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L’uccisione di Pecorelli

«Il dì 3 marzo 1888 in località Onoreta, tenuta boschiva di Montauto, venne mortalmente ferito per colpo d’arma da fuoco il boscaiolo Pecorelli Raffaele, d’anni 30, il quale nel dì 8 successivo, cessava poi di vivere in Montalto di Castro ove era stato trasportato».
L’uccisione di Giuseppe Pecorelli fu rubricata come “omicidio volontario”, anche se in realtà si trattò di un’uccisione accidentale. Un giorno trovandosi nel bosco ad esercitare il suo mestiere di taglialegna, a Peppe capitò di uccidere un maiale scambiandolo per un cinghiale. Per sua disgrazia quel suino apparteneva a Nicola Tiburzi, figlio di Domenichino.
Pochi giorni dopo Pecorelli si trovò di fronte al brigante, che era andato a cercarlo sul posto di lavoro soltanto per ammonirlo che «non si ruba il lardo ai gatti».
Ma, nel contempo, per rendere più incisive le sue parole, teneva la doppietta contro l’impaurito boscaiolo. Partì – fu voce diffusa – incidentalmente un colpo.


Dopo altre estorsioni e le riscossioni come “salariati fissi dei padroni”. Tiburzi commise un altro omicidio nella persona di Giuseppe Pecorelli, un poveraccio che faceva parte di quella massa di avventizi che popolava la Maremma per gran parte dell’anno.
A credere alla versione data da Domenichino e tramandata oralmente, la morte del Pecorelli fu del tutto accidentale: lui lo aveva convocato solamente per avvertirlo che non gli era permesso “rubare il lardo ai gatti”. Infatti il boscaiolo aveva imprudentemente ucciso un maiale di Nicola, il figlio del brigante.
Bartolomeo Tiburzi, s’incaricò di avvertire il potente zio dell’affronto subito. Durante il colloquio che avvenne il 18 maggio 1888, Domenichino per incuter timore al disgraziato che si giustificava dicendo che credeva di aver ammazzato un cinghiale, imbracciò il fucile dal quale partì un colpo che ferì gravemente Pepparello alla spalla sinistra. Fatto trasportare all’ospedale di Montalto di Castro, Giuseppe Pecorelli mori sei giorni dopo per sopravvenuta infezione.
Tutt’altra versione dette del fatto delittuoso il colonnello dei RR.CC., comandante la Legione di Roma, il quale relazionò al comandante generale dell’Arma, che quella uccisione fu volontaria e doveva servire da monito a chi avesse avuto intenzione di molestare i parenti del brigante.
Tratto da: Angelo la Bella, Rosa Mecarolo, Tiburzi senza leggenda, Realistica ricostruzione della vita del brigante attraverso il maxiprocesso ai suoi ‘manutengoli’, 1995


Omicidio Pecorelli

Giuseppe Pecorelli era venuto
nella Maremma come boscaiolo,
era avventizio e sì poco avveduto
ché un giorno non si attenne al proprio ruolo.
Del cacciatore i panni avea vestuto
ed un maiale aveva steso al suolo,
mal gliene incolse che quell’ungulato
al figlio di Tiburzi era mancato.

Non appena il brigante fu informato
di quest’azione il cacciator di frodo,
a sé volle davanti convocato
per avere contezza di quel modo.
Quello rispose d’averlo scambiato
per un cinghial fuggiasco, qui sta il nodo,
ma per Tiburzi non fu convincente
e un colpo gli partì “accidentalmente”.

Tratto da: Giuseppe Bellucci, Da Cellere a Capalbio.
Fatti e misfatti del brigante Domenico Tiburzi. Storia in ottava rima, 2017