Storie e Ucronie
Storie e ucronie
Lestorie restituiscono l’idea di personaggi, i briganti, dotati di una duplice consistenza.
Esseri realmente esistiti, storicamente calati dentro reti di relazioni, ma anche esseri immaginari, capaci di essere in più posti contemporaneamente: al pari dei personaggi che animano il repertorio favolistico locale.
Il Museo del brigantaggio fa propria l’attitudine al pensiero congiuntivo che spesso emerge nei racconti dei narratori locali.
E se la storia non fosse andata cosi? E se Tiburzi non fosse morto alle Forane?
Un modo per liberare una vecchia storia da un finale scontato per donarle, per regalarci, una conclusione problematica.
Salite le scale, si lascia il reportage di Adolfo Rossi, le storie e i contesti sociali, politici ed economici che ebbero in qualche modo tangibile rilevanza nella biografia di Tiburzi. Si cambia prospettiva e si colgono ancor meglio i frutti poetici dei tanti alberi posticci, disseminati in basso.
È qui sopra che prende il sopravvento l’immaginazione sulle oggettività grandi e minute della storia.
Figure grottesche, fantocci di carbonai, di artisti da fiera e di personaggi da fiaba, popolano il salone e le navate.
Si mescolano ai visitatori, imponendo loro di cambiare registro di comprensione.
Una sorta di mondo alla rovescia, regno della carne e dei sogni, che si va materializzando nell’allestimento, spia di un tratto assai consolidato nella cultura popolare.
Escono allo scoperto esseri umani ambigui dai confini corporei incerti che vivono le foreste e le grotte, padroni delle terre di nessuno, signori nelle zone marginali della vita economica e associativa. Sono loro i protagonisti di quelle storie fantastiche che formano un repertorio narrativo ben ricco nella cultura locale e all’interno del quale si inscrive organicamente il personaggio del brigante.
Ilpercorso espositivo offre una ricca documentazione in video delle leggende che, tutt’ora presenti nella memoria collettiva, tramandano le gesta del Tiburzi come eroe culturale, protagonista della storia e della cultura locale del suo tempo, oggi in grado di suscitare rinnovato orgoglio verso l’identità locale.
Astuzia ferina, spietata efferatezza nei confronti dei traditori, magnanimità e benevolenza verso i poveri e i benefattori, sono i caratteri che ritornano spesso nei racconti dei tanti informatori e che risaltano in evidenza stilizzati dalla teatralizzazione sapiente di Antonello Ricci (e dalla Banda del Racconto): una messa in scena polifonica fortemente improntata al realismo fantastico, di tante fonti popolari, anche per l’aderenza all’uso espressivo del registro dialettale.
Il brigante Tiburzi viene così a configurarsi come un personaggio, notevole ma non del tutto positivo, costruito alla grande dall’immaginazione locale. Sarebbe grave sottovalutare quanto questo ricco ed ancora oggi effervescente immaginario dialoghi con e si alimenti del sentimento popolare: costituisca cioè una risorsa sempre attiva per rispondere come atto di rivalsa alle ingiustizie e ai non-sense della storia. La memoria sociale in questo modo si configura anche come un esito del potere dei deboli, espressione della capacità dei ceti non egemoni di non riconoscersi nello status quo, di investire il mondo di propri significati, di creare dense versioni, magari fantastiche, della propria esistenza lottando per mantenerle.
Nell’excipit a sorpresa del percorso espositivo, la dimensione fantastica e perturbante prende nettamente la scena in quanto Tiburzi sembra sopravvivere alla morte decretata nel 1896 dalla fucilata dei carabinieri. Proprio come in tanti racconti, comprese molte novelle di caccia in Maremma, ricompare vivo e libero. Non sarebbe in realtà morto, ci suggerisce maliziosamente questo video. Tiburzi, vitale, si mostra subito temibile, mentre furtivo si allontana dalla colonna dove, una volta ucciso, fu issato per essere fotografato, poco prima della sepoltura. È vivo, almeno nel regno dell’immaginario, disponibile ad essere raccontato e interpretato dai noi contemporanei.