L’estrema punizione di Basilietto

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L’estrema punizione di Basilietto

Per tutt’altra ragione Tiburzi giustiziò, insieme a Biagini, un altro componente della banda. Nella notte tra il 16 ed il 17 Luglio 1879 Basilietto, già nelle braccia di Morfèo, ricevette due colpi di pistola che lo fecero dormire… in eterno. Giuseppe Basili, detto Basilietto, non voleva stare alla regole della convivenza e della convenienza: assoluta collegialità nel progettare le imprese; divieto di molestare i paesani, i bottegai ed i commercianti; accontentarsi dei proventi “tassa sul brigantaggio” e… vivere tranquilli!
Solo in questo modo Tiburzi poteva conquistare l’omertà e garantirsi l’appoggio di un esercito di informatori o “manutengoli”. Basilietto fu ucciso perché rovinava la “piazza”; di nascosto, rapinava per proprio conto e malmenava i commercianti. Tiburzi e Biagini erano convinti che si potessero ottenere più consensi con le elargizioni in denaro e la buona grazia, che non con le minacce e le violenze.


Peggiore sorte toccò a Giuseppe Basili: morì per insubordinazione. Basilietto aveva in odio i commercianti e, quando poteva, altre a derubarli li malmenava di brutto. Per questo si era guadagnato l’appellativo di “nemico dei commercianti”. Il comportamento di Basilietto non garbava né a Tiburzi né a Biagini che contavano tra i commercianti non pochi sostenitori pronti all’occorrenza a rifornirli a credito ed anche gratuitamente di quanto necessitavano.
Il Basili poi non nascondeva il suo disappunto per la linea moderata della “politica” brigantesca del gruppo, aliena dalla violenza fisica gratuita, di ricerca di mutui consensi ottenuti più con elargizioni di denaro che non con le minacce e le violenze. Tiburzi e Biagini non tardarono a rendersi conto che Basilietto stava rovinando loro la piazza. Perciò decisero di eliminarlo, ma essendo provvisto di una forza bruta straordinaria, sarebbe stato loro difficile sopraffarlo a viso aperto; cosicché lo assassinarono a colpi di revolver nel sonno, nella notte tra il 16 ed il 17 luglio 1879 a Cerreta Piana, nei pressi della Selva del Lamone. Per questo delitto i due ebbero comminata un’altra condanna a morte.
Tratto da: Angelo la Bella, Rosa Mecarolo, Tiburzi senza leggenda, Realistica ricostruzione della vita del brigante attraverso il maxiprocesso ai suoi ‘manutengoli’, 1995


Non era trascorso che poco tempo dall’uccisione di Biscarini, allorché un altro non meno feroce e terribile andò a rimpiazzarlo.
A Farnese lo chiamavano Basilietto, e ciò in senso ironico stante le sue forme atletiche. Alto nella persona, la testa piccola, grandi le spalle, il petto largo e aperto, i muscoli pronunciatissimi e di una grossezza fenomenale; onde dotato di una forza prodigiosa unita ad una ferocia naturale, era temibile più c’ogni altro.
La sua indole irrequieta, la proverbiale avversità pei ricchi, il suo girare cupo e silenzioso taceva presagire una brutta fine. Già da vario tempo andava dicendo che voleva buttarsi alla macchia, ed allorché seppe della morte di Biscarini, esclamò:
«Oh! ecco giunto il momento».
Certo Gentili Felice, piccolo proprietario di Farnese, vantava su di esso un credito di un rubbio di grano. Da vario tempo ogni qualvolta lo incontrava, tra le preghiere e le minaccie, pretendeva la restituzione. Un giorno vistolo sotto il così detto fenestrone della piazza, gli si accostò importunandolo nuovamente. Il Basili reagì, e fu fortuna se non lo ammazzò in quel momento, per la presenza di molta gente attirata dal chiasso. Erano trascorsi da quel diverbio vari giorni, allorché una sera si vide un accorrere di gente verso la strada del molino. Che è, che non è? Adagiato sopra una sedia portata a braccio da tre uomini, era un uomo dal volto cadaverico, grondante sangue da una larga ferita che s’apriva in mezzo al petto. Una donna tutta scapigliata e lacera sorretta da alcune pietose donne, gridando con voce rauca e rotta dai singhiozzi, seguiva il mesto corteo.
Giuseppe Basili aveva giurato gettarsi alla macchia, aveva giurato uccidere il Gentili, e non mancò ai suoi giuramenti. Il Biagini e Tiburzi non appena lo videro con il volto orribilmente contratto, gli diedero il ben venuto. Prima di accettare l’atto di ubbidienza pretese che gli accordassero facoltà di muover guerra a molti signori. I vecchi briganti annuirono a malincuore, poiché già mediante l’imposizione di una tassa, traevano di che impinguarsi senza ricorrere a ricatti.
Suo primo pensiero fu di ricattare il ricco mercante Maioli Francesco d’Ischia di Castro. Condotto che l’ebbe nella macchia della Selvicciola, dopo avergli richiesto la somma di quattromila scudi, unitamente a bestemmie orrende, e minaccie terrorizzanti, pensò prendersi di lui divertimento col misurargli le bocche del fucile nelle orecchie e nella bocca, facendo scattare i cani: annoiatosi del fucile, prese il pugnale misurandogli la punta nelle occhiaie per cavargli gli occhi: e a questo sarebbe venuto, se non fossero accorsi Tiburzi e Biagini, avvertiti dell’accaduto.
Egli non mancava notte che non facesse visita alla moglie, e si racconta che più di una volta siasi divertito a tirare il campanello della caserma dei carabinieri. Una notte, non si sa come, i carabinieri furono avvertiti che Basilietto era a casa della moglie. Essi dopo un inutile affaccendarsi, quasi cercando il modo a che il brigante s’inducesse a scappare, con i fucili s’indussero a correre e circondare la casa. Ma il brigante senza scomporsi, salito sul tetto riuscì a fuggire lasciando in aspettazione fino a giorno inoltrato, i cinque coraggiosi carabinieri!
Questa importunità dei carabinieri gli urtò i nervi talmente, che giurò vendicarsi di quel grosso tenente che giornalmente non mancava fare capolino a Farnese. Infatti audacemente s’appiattò sotto il ponte della strada d’Ischia di Castro. Ed ogni qualvolta che sentiva lo scalpitar di un cavallo era lì pronto con il fucile in mira. Fortunatamente in quei due giorni il tenente non passò, che altrimenti la morte sarebbe stata inevitabile.
Essendogli sfuggito il tenente, volle ottenere una soddisfazione dai carabinieri, ed una sera che questi dovevano attraversare la Fiora, nel punto detto il Guado delle tavolare, videro un uomo armato di fucile saltare con lestezza nell’acqua e piantarsi nel bel mezzo del fiume col fucile spianato sovr’essi.
«Se fate un movimento vi spacco il cranio, carogne!»
I due carabinieri credettero bene fare il dietro front.
«Che ricchi, che signori! – urlò Basilietto – Vi ho detto che li voglio sterminar tutti!… Voglio bevere il sangue loro!»
«Ma finiscila, via!»
«Se non ci troviamo d’accordo, ammazzo anche voialtri, brutti vigliacchi!… E che siete briganti?  Siete mangiaufo!»
Rotto il ghiaccio, il Basilietto continuò a mostrarsi provocatore, suscitando nella banda frequenti litigi.
«Ma leviamocelo d’intorno, Menichi!»
«Hai ragione, sì domani gli famo la festa.»
Il luglio del 1879 mostravasi cocente più degli altri anni, e i briganti stavansi coricati su letti improvvisati con fronde d’alberi, all’ombra di secolari cerri, nella località detta Cerreta piana.
Il vino bevuto a profusione, procurò in breve un sonno a tutti.
Un maiale selvatico nel passare di là fece alquanto rumore e il Biagini che aveva sonno leggerissimo si svegliò imbrandendo il fucile. Assicuratosi dello sturbatore innocuo, tornò nuovamente alla cuccia. Nel passare vicino a Basilietto volle il caso che l’urtasse col piede, al quale urto il brigante baldanzoso com’era sbuttò come un toro, minacciando, come solito, di morte.
«Che diavolo ha quel maiale?» borbotto Tiburzi svegliandosi.
«Non lo sai?… II solito!»
«Oggi sarebbe il giorno stabilito per la festa, non rammenti?»
«Hai ragione. Adesso che il porco dorme, è più facile accorarlo.»
E dato di piglio al fucile lo puntò sulla tempia di Basilietto. Altrettanto fece il Tiburzi.
«Tu alla testa ed io al core!»
Una doppia detonazione rintronò per la cupa macchia, ripercuotendosi nelle vicine vallate.
Il feroce Basilietto non era più.
Il Biagini rese avvertita l’autorità della fatta operazione, indicando il luogo ove il cadavere giaceva.
L’ispettore Fazio, che trovavasi in missione a Farnese, unitamente al tenente dei carabinieri e ad una pattuglia si recò sul luogo.
Basilietto giaceva supino nella posizione in cui venne colpito. Il suo cadavere, dopo la relativa autopsia fatta nella camera dell’ospedale vecchio, venne sepolto nel cimiterio di Farnese.
Tratto da: autore anonimo, Il Brigantaggio nel Viterbese, 1893


Omicidio Basili

Un giovane pittore una mattina
scambiato che d’un ricco era parente
sente imperiosa voce dir “cammina!”,
mostrandogli un fucil qual deterrente.
La banda al fitto bosco lo destina,
certa di trar profitto lautamente,
ma presto egli mostrò ch’aveano errato
essendo un poveraccio squattrinato.

Quand’ebbe la sua vita raccontato,
pure a Tiburzi intenerisce il core,
sì che lo lascia andare liberato
facendo ammenda al grossolano errore.
Ma fa di più, non vuol che scellerato
di sé n’abbia memoria quel pittore,
nel congedarlo a farlo più contento
gli mette in mano due scudi d’argento.

E poi dice al Basili: “Stagli attento
fuor della macchia tu lo condurrai,
fa’ che ritorni senza patimento,
quando rientri mi racconterai”.
Partono entrambi col proponimento
d’eseguire il comando giusto assai,
ritornato il brigante rassicura
sul lieto fin dell’avventura.

Il giorno dopo che Morfeo assicura
a Basilietto un sonno assai profondo,
ruotandosi a cambiando postura
da una tasca gli cade un piccol tondo.
Lesto Biagini raccogliendo appura
esser lo scudo del giovane biondo,
e lo mostra a Tiburzi incollerito
per essere il suo dir stato tradito.

È il colmo: per entrambi scorre il dito
velocemente a stringere il grilletto,
basta un cenno col capo ed è punito
quel brigante con lor tanto scorretto.
Poiché anche lui ora la morte ha ghermito
il trio dei malfattor forma un duetto,
ma seppure la banda si riduce
non certo a star tranquilli questo induce.

Tratto da: Giuseppe Bellucci, Da Cellere a Capalbio.
Fatti e misfatti del brigante Domenico Tiburzi. Storia in ottava rima, 2017