L'assassinio del fornaio farnesiano

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L’assassinio del fornaio farnesiano

Antonio Vestri di Farnese era uno dei più fidati e servizievoli manutengoli di Tiburzi. E come tale sempre lautamente compensato. Ad un certo momento, un po’ terrorizzato dalle minacce dei carabinieri che lo tallonavano, un po’ allettato dalla taglia su Tiburzi, ebbe la cattiva idea di tradire i suoi amici. II 12 settembre 1882 guidò i carabinieri alla tana dei briganti. L’agguato, per imperizia o per sfortuna, fallì miseramente. Al momento di dare il segnale di aprire il fuoco contro l’imboccatura della grotta, l’arma del brigadiere s’inceppò. I briganti, allertati dal rumore, ebbero il tempo di darsi alla fuga, riconoscendo, tra i carabinieri l’amico-spione. Per sei mesi Tonino Vestri, attanagliato dalla paura, non osò uscire di casa temendo la vendetta dei briganti. Poi, sperando di essere stato dimenticato, pressato dalla moglie che aveva urgente bisogno di legna per mandare avanti il forno, durante la settimana santa, si fece coraggio. Bardati due asini, si recò nel bosco a far legna. Sulla via del ritorno, con le bestie ben cariche, improvvisamente gli si pararono davanti Tiburzi e Biagini. Invano Tonino provò a giustificarsi e ad impietosirli; i briganti furono inesorabili e lo abbatterono. Tiburzi, non soddisfatto, gli recise la carotide. Biagini completò l’opera sventrando i due innocenti asini.


Un solo sentiero attraversa il Lamone nel punto in cui la macchia è più stretta, e io lo presi per tornare a Farnese a cavallo anziché col barroccino.
È un sentiero da capre, tutto dirupato e malagevole: ai due lati la macchia si estende come un doppio muraglione. Uscitone mi feci indicare il luogo dove Antonio Vestri è stato ucciso dai banditi. Il Vestri era un contadino che mediante compenso portava i viveri a Tiburzi e Biagini nel 1882. Un giorno, allettato da una ricompensa, si decise a rivelare il luogo in cui si sarebbero potuti catturare i banditi. Un delegato e parecchi agenti si appostarono nel punto indicato, ma quando i briganti ne uscirono, i fucili delle guardie – che pare avessero preso l’umidità – fecero cecca!
Scampati a quell’agguato, Tiburzi e Biagini immaginarono che il delatore dovesse essere stato il Vestri, farnesano, e decisero di trarne esemplare vendetta.
La mattina del 23 marzo 1883, verso le dieci e mezzo, Vestri usciva dalla macchia del Lamone e tornava a Farnese con due muli carichi di legna. Giunto che fu al luogo detto Pianella o Forma, Tiburzi e Biagini sbucarono da una fratta e gli ordinarono di fermarsi.
«O compare!» mormorò il Vestri.
Non aveva neppure finito di pronunziare queste due parole, che Biagini gli esplose contro una fucilata e immediatamente dopo Tiburzi con un lungo coltello gli tagliò il collo.
Non contento, Biagini conficcò uno stile nel ventre dei due somari del Vestri, dicendo:
«Spiaccia infame: lo si manteneva, gli si dava dei denari e ci ha traditi! Anche questi somari li aveva
comprati coi nostri quattrini, sono roba nostra e voglio ammazzarli.»
Tiburzi dal canto suo faceva eco alle parole del Biagini dicendo:
«Così si puniscono le spie!»
Compiuto l’eccidio, i banditi lasciarono in un lago sangue i cadaveri del Vestri e delle due bestie e si
Allontanarono tranquillamente. Notisi che a breve distanza due o tre contadini avevano assistito alla scena. C’era fra essi un certo Vincenzo Cencetti, a cui Biagini disse:
«Dite pure a Farnese che non se la prendano con nessuno, perché siamo stati noi che l’abbiamo ucciso, perché ci ha fatto la spia. Così sarà di esempio agli altri che fanno la spia.»
Biagini cavò quindi l’orologio e disse a Tiburzi:
«Sono le undici precise.»
Dall’autopsia del cadavere risultò che i proiettili avevano trapassato l’aorta toracica, i polmoni, il diaframma e il fegato, e che col suo coltello Tiburzi aveva reciso al Vestri grossi vasi arteriosi, la carotide e la trachea.
Tratto da: Adolfo Rossi, Nel regno di Tiburzi, 1893


Omicidio Vestri

È Antonio Vestri l’amico fidato
che di quanto lor serve gli procura,
sì che con due somari l’han premiato
ed in casa il benessere ancor dura.

Ma ora che in caserma vien chiamato
di Tiburzi e Biagini la cattura
propone, ben convinto della taglia,
che più ricco sarà, ma assai si sbaglia.

Tratto da: Giuseppe Bellucci, Da Cellere a Capalbio.
Fatti e misfatti del brigante Domenico Tiburzi. Storia in ottava rima, 2017