La morte del principino Bettinelli

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Nessuna grazia per Cerasoli

«Il 13 giugno 1889 il brigante Demetrio Bettinelli è stato ucciso ad opera dei noti Tiburzi e Biagini, interessati dai proprietari dei latifondi, che pagano ai medesimi banditi un tributo annuo e che erano soggetti a continue molestie da parte del Bettinelli» Con l’aiuto di Luciano Fioravanti, Tiburzi e Biagini mandarono al creatore un altro “collega”, Luigi Demetrio Bettinelli detto il Principino. Dal verbale dei Carabinieri si evince che si trattò dell’adempimento di un “obbligo contrattuale”.


Alle sei e tre quarti di questa mattina, scesi dalla cima della Roccaccia, ci avviammo verso il vicino monte della Passione, altra delle vette di Mantauto, sempre a traverso bellissime macchie ricche di alberi stupendi, fra cui molti sugheri, e di cespugli di prugne selvatiche. Colombi, gazze e altri uccelli fuggivano al nostro passaggio; in una piccola radura intravvedemmo per un istante un capriolo femmina che con un lungo salto scomparve nel folto bosco.
Alle sette e un quarto, per il cancello del Sorbo dalla provincia di Grosseto rientravamo in quella di Roma, e prima delle otto toccavamo il punto più elevato del monte della Passione, contrassegnato da un sasso che porta incisa la data: 1796. Di lassù si ha una veduta circolare estesissima: da una parte si abbraccia una parte della Toscana e dall’altra una parte ancora più grande della provincia romana, fino al mare. Si distinguono benissimo i monti di Canino isolati nella pianura, Valentano, Montalto di Castro, il piano dell’Abbadia.
Alle otto e mezza, dopo aver fatto colazione sulla vetta della Passione – l’appetito viene molto presto alzandosi prima delle quattro e cavalcando continuamente sui monti! Scendendo tomavamo nel grossetano attraverso una cerreta dei marchesi Guglielmi, prossima al Poggio del Gatto. Ora dopo entravamo nel bosco dell’Onoreta dove quattro anni or sono è stato ucciso dai compagni il noto brigante Luigi Demetrio Bettinelli detto Principino, d’ani 43, da Porretta (Vergato).
Come i lettori vedono da queste mie lettre in cui cerco di fare con la maggiore chiarezza possibile la storia del brigantaggio degli ultimi anni nel circondario di Viterbo, Civitavecchia e Grosseto, sono più i briganti uccisi dai loro soci che quelli uccisi che quelli uccisi dai Carabinieri.
La banda si è andata assottigliando per opera principalmente dei suoi capi che volevano rimanere soli padroni del territorio. Intorno all’uccisione del Bettinelli ecco i particolari che ho potuto raccogliere.
La sera del 13 giugno 1889 i banditi Tiburzi e Biagini si presentavano nel casale di Montauto al fattore Raffaele Gabrielli (quello stesso che un anno dopo veniva ucciso dal Tiburzi a Pian di Magrio) e gli ordinarono di seguirli. Condotto al bosco dell’Onoreta, gli mostrarono il cadavere ivi giacente del Bettinelli e raccontandogli che era stato ammazzato il giorno innanzi, gli dissero di darne avviso alla giustizia: quindi si ritirarono. L’indomani, 15, il medico di Manciano, signor Fratini, d’ordine del pretore, vide il cadavere e dichiarò che la morte era venuta da due giorni e che era stata prodotta con arma da fuoco.
Ciò fu meglio accertato il successivo giorno 16: risulta che il Bettinelli aveva ricevuto due fucilate tirate a breve distanza e i cui proiettili avevano trapassato il torace e l’addome perforando i polmoni, il cuore, il fegato e la milza; le quali lesioni dovettero spegnerlo all’istante. Gli furono trovate anche lesioni di arma bianca inferte a corpo morto e lacerazioni di taglio nelle vesti, come se si fosse voluto fare strazio del cadavere. Il contegno e i discorsi di Tiburzi e di Biagini col fattore Gabrielli facevano comprendere che essi erano stati gli autori dell’uccisione di Bettinelli, non potendosi altrimenti spiegare la loro conoscenza del tempo in cui l’omicidio era stato commesso e la cura di denunziare il fatto alle autorità. In seguito, certi discorsi tenuti dall’altro bandito Luciano Fioravanti fecero conoscere che questi pure era stato uno dei principali autori dell’uccisione di Bettinelli, come quegli che aveva sparato su di lui il primo colpo, che quindi gli tolse il fucile, il denaro e un orologio, serbando il fucile per sé e dividendo fraternamente il resto coi compagni. Risultò pure che s’erano indotti a questo passo per mettere fine agli eccessi che andava commettendo il Bettinelli, eccessi e imprudenze che attiravano su tutti i latitanti le ire dei privati e le persecuzioni sempre più attive della pubblica forza.
Tratto da: Adolfo Rossi, Nel regno di Tiburzi, 1893


Luigi Bettinelli soprannominato il Principino dal suo modo di vestire, nativo di Porretta, da vari anni, causa un omicidio, s’era dato alla vita del brigante. Il conflitto avuto con i carabinieri alla Valeriana in quel di Manciano, chiaro dimostra il coraggio di questo brigante.
In un casale di certo Lelli, la sera del 25 maggio 1889, entrarono i due briganti chiedendo viveri e alloggio. Poiché ebbero mangiato si posero a cantare, passando in tal modo la notte intiera. Al mattino il Bettinelli sortì dal casale per un suo servizio, e notata la presenza dei carabinieri rientrò, frettolosamente avvertendone il Fioravanti e il Lelli. Non potendo darsi alla fuga si chiusero in una camera. Sopraggiunsero i carabinieri e scoperti i briganti l’invitarono ad arrendersi; ma questi risposero loro con un’infinità di insolenze e minaccie, onde i primi ordinarono al Lelli di correre a chiamare il rinforzo. I briganti intesa questa disposizione saltarono la fenestra fuggendo verso la macchia. I carabinieri si posero ad inseguirli, ma i briganti fermatisi di botto, spararono su di essi ferendoli gravemente. Poche sere appresso dopo avere assalito la carrozza di un ricco prete, si dirigevano verso una capanna di un pastore, posta nella località detta La Capriola, nei Monti di Castro, e seguendo il corso del Fosso del Ripiglio, s’imbatterono in Tiburzi e Biagini. Dopo un breve scambio di parole, i quattro briganti si portarono in un’altra capanna dove improvvisarono, un succolento desinare.
Il carattere fiero e sanguinario del Principino, rese in breve esautorati i vecchi briganti, i quali ne decretarono la morte, affidandone l’esecuzione al Fioravanti. Questi colta l’occasione da un diverbio sorto, o meglio fatto sorgere per il vitto, preso il fucile sparò sul Bettinelli, fracassandogli la testa.
Tratto da: autore anonimo, Il Brigantaggio nel Viterbese, 1893


Omicidio Bettinelli

Con il fido Biagini tien partito
e convengono entrambi sul da fare,
ché Bettinelli troppo male ha agito
e che non è più tempo d’aspettare.
Nel suo mostrarsi fortemente ardito
tanto il voler del capo da ignorare,
rende chiara l’insubordinazione,
non c’è altro mezzo: l’eliminazione.

E alfine di provar la devozione
di Fioravanti, a lui danno il mandato,
ben si vedrà qual sia la decisione
che prenderà con chi si è presentato.
Senza indugio egli esegue la mansione
che gli anziani briganti gli hanno dato,
e il suolo maremmano di Onoreta
fu per Demetrio l’ultima sua meta.

Tratto da: Giuseppe Bellucci, Da Cellere a Capalbio.
Fatti e misfatti del brigante Domenico Tiburzi. Storia in ottava rima, 2017